Workshop “I saperi minimi del suolo”, Ancona 5 dicembre 2016 – un breve resoconto

Ancona, 5 dicembre 2016

 

Workshop su “i saperi minimi del suolo”, tenutosi a Ancona in occasione delle celebrazioni per la Giornata mondiale del suolo del 2016, organizzata congiuntamente da tutte le Società Scientifiche presenti (SISS, SIPe, SISEF, SIA, SICA, SEI, SOI).

 

Sono presenti al tavolo i professori: Sauro Longhi, Rettore UNIVPM; Carmelo Dazzi (UNIPA), presidente della SISS; Carlo Grignani (UNITO), presidente della SIA; Marco Marchetti (UNIMO), presidente SISEF; Nunzio Isidoro (UNIVPM), in rappresentanza del presidente della SEI; Teodoro Miano (UNIBA), in rappresentanza del presidente della SICA; Giuseppe Corti (UNIVPM), presidente della SIPe.

Tra il pubblico, costituito da circa cinquanta persone, numerosi esperti di agronomia, foreste, entomologia, suolo.

 

Il prof Dazzi in apertura dei lavori della tavola rotonda ringrazia gli organizzatori di questo “World Soil Day” non solo per avere reso partecipi numerosi studenti della scuola media che sono stati coinvolti durante la mattinata in una serie di “tavoli tecnici” divulgativi su diversi aspetti che concernono la conoscenza del suolo, ma anche per avere organizzato una tavola rotonda sui “saperi minimi” concernenti il suolo e che dovrebbero essere patrimonio comune della offerta formativa nei diversi Dipartimenti di scienze “agrarie”, “forestali”, “ambientali”, naturali”, “agroalimentari” ecc.

Ringrazia altresì i partecipanti al workshop e i tutti presenti, e passa la parola al Rettore dell’UNIVPM, prof Sauro Longhi. Questi ringrazia a sua volta i presenti e rammenta come queste iniziative siano di grande utilità per stabilire maggiori punti di convergenza tra le discipline, così da migliorare l’offerta didattica e la ricerca scientifica.

 

Riprende la parola il prof. Dazzi per ricordare che la SISS, non rappresentando uno specifico settore scientifico-disciplinare, può a buon diritto rivendicare una sorta di ius primae soli come patrimonio culturale cui tutti dobbiamo essere cointeressati. Ricorda che, già negli anni 1980, nel nostro Paese si dibatteva della mancanza di una diffusa “cultura” del suolo nelle diverse sfere sociali e della necessità di definirne i saperi minimi nelle università.

Considerando che il motivo conduttore di questa tavola rotonda è quello di valorizzare conoscenza e ruolo del suolo nell’offerta formativa delle università, occorre pensare a quali dovrebbero essere i saperi minimi o indispensabili per quel che riguarda il suolo. Invita quindi ai partecipanti a riflettere su di una prima questione: “secondo il vostro personale sentire, quali ritenete debbano essere i saperi minimi concernenti il suolo considerando le basi culturali sulle quali si definisce il settore scientifico-disciplinare della Società scientifica che qui rappresentate”?

 

Inizia il prof. Grignani (SIA) che porge i ringraziamenti ai presenti, anche a nome della SOI.

Un aiuto agronomico alle colture per consentirne produzione e qualità (l’uso dei fertilizzanti) è necessario, ma se gestissimo bene il suolo potremmo ridurne l’impiego. Nei corsi di studio in agraria, a temi quali coltivazioni (erbacee, arboree, orticoltura) e al suolo viene dedicato dal 30 al 40% del tempo didattico totale. Ed è bene che sia così perché tali conoscenza, supportate dalla fisiologia vegetale, dalla scienza del suolo e dall’agronomia sono la base tecnica e scientifica che dobbiamo tenere sempre in mente per fornire un corso universitario di successo. Per far questo in modo efficace però dobbiamo usare un linguaggio comune ai vari ambiti del sapere.

L’attività pratico-applicativa interdisciplinare è l’humus che unisce spesso i docenti in progetti a cui dobbiamo tendere per lavorare insieme e risolvere i problemi di impostazione dell’insegnamento. Questa può essere una strategia di successo per definire meglio i saperi minimi del suolo.

 

Prof. Marchetti (SISEF). Noi forestali, come gli agronomi, ci occupiamo degli aspetti del sapere e del saper fare. Nel fare questo dobbiamo rifondare molti concetti di gestione della selvicoltura e dell’ecologia forestale perché sono venute a mancare le basi di conoscenza litologiche, il pedopaesaggio, la geomorfologia. Le foreste svolgono servizi multifunzionali, ma dobbiamo recuperare i meccanismi di funzionamento del suolo in funzione di quello che c’è sopra.

Il suolo è il più grande descrittore degli eventi che ci sono stati nel bosco e anche per questo è importante recuperare nei nostri insegnamenti la genesi e la classificazione del suolo. E questo va fatto urgentemente, perché stanno scomparendo i corsi di pedologia forestale.

 

Prof. Corti (SIPe). Nell’ultimo anno abbiamo raccolto suggerimenti da parte di molti giovani laureati e dottorandi in materie forestali e ambientali che lamentano uno scarso insegnamento del suolo, che invece vedono più presente quando vanno in Erasmus. Da sottolineare come il suolo (e lo studio del suolo) sia coinvolto in sfide planetarie quali il cambio del clima e lo stock di carbonio, la conservazione del suolo e del paesaggio, la gestione del suolo agrario, forestale, sommerso.

 

Prof. Isidoro (SEI). Alcuni decenni fa si diceva che vi erano insetti utili, insetti dannosi e insetti indifferenti. Quando si parla di suolo ci sono molti aspetti quali la sua struttura e tessitura che sono collegati alla vita di molti insetti, non fosse altro perché molti di questi svolgono nel suolo parte del loro ciclo vitale. Molti impollinatori selvatici passano il loro ciclo vitale in alcuni suoli e la conoscenza di questi sarebbe fondamentale per il mantenimento dell’agroecosistema.

 

Prof. Miano (SICA). Molto dipende dalla prospettiva di ogni tipo di corso universitario. Anche architetti, ingegneri, economisti, estimatori, giuristi e altre professionalità hanno a che fare con il suolo. Il suolo rimane la base della filiera agraria – si può fare viticoltura senza un corso sul suolo? Si può non inserire un corso di suoli ai tecnologi alimentari? Ciononostante, inserire nuove discipline in corsi di vecchia istituzione è spesso molto difficile, più facile in quelli di nuova istituzione.

 

 

Finito il primo ciclo di interventi, riprende la parola il prof. Dazzi per sottolineare come siano stati toccati numerosi e importanti aspetti che concernono cultura e conoscenza del suolo, anche in ambiti non specificatamente “agrari”. Ricorda come gli aspetti concernenti la percezione del suolo siano particolarmente attenzionati in ambito SISS, che già nel 2010 aveva organizzato un workshop nazionale su “La Percezione del Suolo” invitando “non” addetti ai lavori a parlare di suolo. Evidenzia che dal primo ciclo di interventi emergono alcune parole chiave. Precisamente:

  • Il saper fare, che riguarda sia docenti sia studenti;
  • la diversità dei sistemi colturali, dei paesaggi e dei servizi ecosistemici.

Il prof. Dazzi chiede quindi un secondo ciclo di interventi per definire come si dovrebbero sviluppare e coniugare gli aspetti del saper fare e della diversità antro le 3A+F intendendo con questo Agraria, Alimentare, Ambientale e Forestale.

 

Prende la parola il prof. Miano (SICA) per dire che fin da quando è stato varato il 3+2 egli pensava che gli insegnamenti relativi al suolo dovessero diventare ancora più trasversali, ed è quindi la trasversalità degli insegnamenti, soprattutto del suolo, che dovrebbe essere sviluppata nei corsi di laurea delle discipline agrarie.

 

Prof. Isidoro (SEI). Trovo difficile immaginare strutture di corsi di laurea molto trasversali con le attuali norme.

 

Prof. Corti (SIPe). In una fase come la attuale dove l’Università è segnata anche da mancanza di risorse, è più necessario che mai individuare corsi di studio che attraggano studenti, e questo lo si può ottenere condividendo insegnamenti anche con altre discipline o lauree di altre classi.

 

Prof. Grignani (SIA). I coordinamenti nazionali delle lauree servono proprio per parlare di queste cose. Una cosa chiara è che non si può sapere o saper fare tutto. Si può immaginare un’organizzazione scalata del tipo:

  • scienza del suolo nel contesto delle scienze alimentari – richiede un livello di insegnamento del suolo 1;
  • scienza del suolo nel contesto delle scienze agrarie – richiede un livello di insegnamento del suolo, più elevato, di livello 2;
  • dottorato specializzato – richiede il massimo livello di didattica di settore, definiamolo livello 3.

Bisogna poi evitare di esagerare con le competenze. Ad esempio il concetto del terroir dipende moltissimo dal suolo, ma non serve a chi si specializza in filiere agro-alimentari dedicare energie ad un corso approfondito sul suolo. Dovrà, come tecnico, cercare le competenze di altri, che saranno specializzati. C’è poi il problema della diversità tra sedi, che è un’altra condizione da tener presente: a questo riguardo nulla può essere considerato essenziale. Ad esempio, è oggettivamente possibile offrire un corso di laurea in scienze forestali senza zoologia, che pure resta materia di indubbio interesse scientifico e formativo. Tutto dipende dalle condizioni esistenti in ogni sede e dai molti vincoli esistenti per la docenza universitaria che non rendono il trasferimento tra sedi di scuole scientifiche.

Le tematiche di commistione però non mancano: ad esempio, il tema dello stoccaggio di carbonio nel suolo, da un punto di vista degli studi agronomici è un tema  quasi superato; dobbiamo invece andare avanti e capire quale qualità della sostanza organica riusciamo ad ottenere nel suolo e non il semplice bilancio del carbonio.

Per riassumere, saperi minimi significa dedicare le risorse che abbiamo a costruire corsi credibili, oltre che a stabilire quali insegnamenti siano più importanti di altri.

 

Iniziano gli interventi del pubblico.

Prof. Gilmo Vianello. Bisogna pensare al laureato triennale che deve trovare lavoro e spesso non fa la magistrale. A oggi sarebbe quasi il caso di riunire il 3+2.

 

Prof. Rodolfo Santilocchi. Rammento che non si tratta di 3+2, ma di 3 e 2. L’ideale sarebbe stato di definire il “sapere” al triennio e il “saper fare” al biennio, ma con questo 3 e 2 è molto difficile organizzarlo.

 

Dott.ssa Anna Bendetti. In questo momento parlo come datore di lavoro dei vostri studenti e devo dire che arrivano laureati che non sanno, o sanno poco, di suolo.

 

Prof. Stefano Tavoletti. Dobbiamo anche guardare a chi sta fuori, nel mondo del lavoro. A un agricoltore non possiamo parlare di suolo e delle sue problematiche da risolvere senza dare uno sbocco economico.

 

Dott. Flavio Fornasier. Non sento mai parlare di insegnamento. Uno dei problemi che sento è che mancano le persone appassionate e quello che più manca nell’Università è proprio questo, non le alchimie accademiche. I professori dovrebbero suscitare curiosità.

 

Alle ore 20 si dichiara concluso il workshop.