Ermanno Zanini è morto ormai da svariati mesi (9 Febbraio 2017), quindi questo sembrerà un ricordo tardivo. In realtà scrivendo queste frasi si dà corpo e consistenza ad un accadimento improvviso che ha lasciato noi tutti che lo conoscevamo increduli e anche un po’ disorientati, si sancisce un fatto e si accetta la realtà. Accettare la realtà vuole anche dire organizzare i ricordi e, con la speranza di condividire alcuni momenti con chi legge, rivolgere un pensiero affettuoso a chi è stato per tanto tempo un collega, un amico, una figura di riferimento.
Ermanno aveva 72 anni, era Professore Ordinario di Pedologia all’Università degli Studi di Torino dal 1989, dove ha profondamente cambiato il modo di approcciarsi alla Pedologia. Era entrato all’Università come borsista del Ministero della Pubblica Istruzione nel 1970, poi era diventato contrattista nel 1974, tecnico laureato nel 1978 e professore associato nel 1980. Una carriera molto simile a quella di oggi, anche se con nomi diversi del precariato. Durante i molti anni trascorsi all’Università, ha saputo creare una “scuola” lasciando che i suoi collaboratori sviluppassero le tematiche a loro più congeniali, stimolando la loro curosità scientifica e infondendo entusiasmo per lo studio dei suoli. Credeva molto nella collaborazione tra settori scientifici: la sua visione del suolo come elemento di un sistema complesso stimolava l’interazione tra AGR13 e AGR14, ma anche con molti altri SSD non solamente di ambito agrario e forestale. Ha lavorato con palinologi, lichenologi, botanici, fisiologi, ingegneri, topografi oltre, ovviamente, a chimici agrari, agronomi, coltivatori arborei, microbiologi, entomologi, e molti altri.
Era vulcanico, sempre con una nuova idea di ricerca in mente, e sovente si divertiva a proporre nuovi temi solo per vedere l’espressione preoccupata dei suoi collaboratori, in un gioco di ruolo in cui si arrivava quasi sempre ad un compromesso che lasciava tutti soddisfatti. Si appassionava per le nuove tecniche e adorava “giocare” con i dati, ad esempio lanciando elaborazioni geostatistiche che duravano tutta la notte su un Olivetti M24. Sono convinta che uno dei maggiori piaceri della sua giornata lavorativa dell’epoca (fine anni ’80) fosse arrivare al mattino e veder il prodotto dell’elaborazione sullo schermo. Si divertiva ad ogni uscita in campo, soprattutto con gli studenti; si è sempre speso moltissimo per la didattica, imbastendo esercitazioni del corso di Pedologia generale che erano veri e propri progetti professionali, coinvolgendo colleghi inizialmente perplessi, anche per il numero di studenti coinvolti (erano gli anni in cui Scienze Forestali a Torino aveva quasi 200 iscritti), e poi entusiasti nel vedere il risultato. Il suo entusiasmo veniva ricambiato dall’interesse che gli studenti manifestavano per la sua materia, con moltissime richieste di tesi e, sovente, il desiderio di rimanere ad occuparsi di pedologia dopo il conseguimento della laurea. Era anche bravissimo nel trovare fondi di ricerca, capacità non solo non facilmente uguagliabile, ma nemmeno lontanamente avvicinabile da chi è rimasto.
Era vulcanico anche negli impegni istituzionali: è stato direttore del Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risosrse Agroforestali dell’Università di Torino, Direttore e poi Presidente del Centro Interdipartimentale NatRisk, Direttore del Corso di Perfezionamento Conservazione del Suolo negli Ecosistemi Collinari e Montani, Presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Scienze Forestali e Ambientali, nonché ideatore del Corso di Laurea in Difesa del Suolo e Manutenzione Forestale del Territorio (triennale e Magistrale) che per diversi anni è stato l’unico esempio italiano di corso di studi centrato sul suolo. Ed è stato Presidente della SIPe dal 2004 al 2010: anni di transizione tra la gloriosa vecchia guardia, quella che ha fondato la SIPe, e la generazione dei pedologi attuali; anni in cui sono iniziate le prime discussioni su quale doveva essere il livello scientifico di un pedologo e come i lavori di pedologia andassero pubblicati su riviste internazionali. Quelle discussioni, se da un lato miravano a portare la pedologia in una posizione di maggior rilievo nel panorama italiano delle discipline tecnico-scientifiche, dall’altro non dimenticavano che non esistono pedologi senza le attività sul campo e riuscivano quindi a mantenere un equilibrio oramai spesso scomparso in molti settori scientifici, ma forse (fortunantamente) non nella pedologia.
Sovente dopo un po’ di tempo, si tende a dimenticare i pregi e idealizzare la figura di chi non c’è più; Ermanno, come tutti, aveva pregi e difetti, ma dopo oltre sei mesi da quando è mancato, ci accorgiamo che in lui pregi e difetti erano solo sfumature di una figura complessa e sfaccettata. Una figura che ha dato molto a colleghi e amici. Una figura che resterà a lungo nella nostra memoria. Una memoria che è fatta non solo di rapporti di lavoro, ma anche di vita vissuta insieme vagabondando per boschi, campi e montagne. Sempre dimenando il cervello su cosa si dovrebbe fare, magari litigando sul come farlo, ma con la certezza assoluta che con una merenda sinoira tutto sarebbe tornato a posto, e il lavoro avrebbe proseguito senza intoppi. Nella nostra memoria rimarrà anche un grande insegnamento che Ermanno condivideva con persone del suo calibro e della sua profonda cultura, mai ostentata: aiutare gli ultimi, prodigarsi per dare una possibilità a tutti. Per questa sua radicata convinzione, vissuta nel privato come nella vita professionale, nutriva il rispetto di molti.
Ciao Ermanno, ci mancheranno i tuoi voli, i tuoi sogni, il tuo spirito libero.
Eleonora e Beppe